Fondazione Merz

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Gino De Dominicis

8 novembre 2007 – 6 gennaio 2008 

 

a cura di Andrea Bellini e Laura Cherubini

 

La mostra rappresenta la rara opportunità di poter vedere dal vivo circa quaranta opere del noto artista, selezionate tra le più rilevanti nella sua produzione.

Gino De Dominicis, come scrive Andrea Bellini, “può essere considerato una delle figure più emblematiche e misteriose dell’arte italiana del secondo dopoguerra. Un artista per molti aspetti ancora inafferrabile, circondato da un vero e proprio alone leggendario. Gino De Dominicis è stato e rimane un caso isolato, una personalità complessa che ha rifiutato sempre la logica dei gruppi e dei movimenti coltivando un’idea superiore, nobile e solitaria, del fare artistico.”

I curatori hanno scelto di concentrarsi particolarmente sulle opere pittoriche, che risalgono al periodo compreso tra la fine degli anni Settanta e il 1998, anno della sua morte; un ventennio durante il quale l’artista si dedica quasi esclusivamente alla pratica pittorica e grafica, disegni e dipinti divenuti importanti capolavori nella storia dell’arte.

L’esposizione presenta anche opere del primo periodo e lavori non strettamente pittorici che creano un percorso simbolico attraverso l’evoluzione del pensiero e dell’arte di De Dominicis: la storica Asta del 1967, un elemento che rimane in equilibrio verticale senza alcun supporto apparente, D’IO (1971), una scrosciante e diabolica risata che accoglie i visitatori all’esterno della Fondazione Merz e il celebre Il tempo, lo sbaglio, lo spazio (1970), uno scheletro umano con i pattini ai piedi che tiene al guinzaglio lo scheletro di un cane.

“Questo rigoroso attenersi di Gino De Dominicis a temi fondamentali come quelli della gravità e dell’immortalità corrisponde sul piano delle immagini alla messa in luce di alcune essenziali figure e a livello formale trova analogia nella tensione a raggiungere una pittura estremamente raffinata attraverso pochi e basilari elementi: la tavola, l’uso prevalente dei colori di base e talvolta l’apparente monocromia, la matita, strumenti antichissimi e nuovissimi. ‘L’arte più antica è quella di oggi. Quella che la precede è più giovane e moderna’”, scrive Laura Cherubini nel suo testo citando l’artista.