L’opera di Mosa One, Fasten your seatbelt we’re about to crash, 2025, ricorda un cartellone pubblicitario all’interno di un parcheggio, imitando le istruzioni di sicurezza degli aerei ma con un avvertimento disarmante: “Fasten your seatbelt, we’re about to crash”. La frase, che nella parte superiore viene trascritta in arabo, sovverte l’illusione di controllo e sicurezza esaltata dalla società contemporanea e suggerisce così un futuro poco positivo dove uno scontro o il collasso sono imminenti. Un collasso climatico, sociale, economico e che potrebbe espandersi in differenti e molteplici livelli della quotidianità ruotando, tuttavia, intorno a un’unica domanda: “Stiamo vivendo o stiamo solo frenando, in attesa del grande impatto?”. L’installazione, infine, racchiude una critica alla passività collettiva e all’automatismo del presente, dove indossiamo cinture per una corsa che nessuno sta più guidando.
Mosa One (Roma, 1997),artista multidisciplinare, nato a Roma da genitori egiziani, nella sua pratica esplora la complessità di una doppia identità, cercando di tradurre l’eredità culturale e il senso di appartenenza a due mondi, apparentemente distanti ma intimamente connessi. Cresciuto nella periferia romana e avvicinatosi alla street art all’età di tredici anni, indaga temi sociali e identitari di una realtà che cambia rapidamente. L’artista riconosce nell’arte un potente strumento per abbattere barriere e stimolare una consapevolezza collettiva.
L’opera di Alfredo Jaar Two or three things I know about Monsters riporta una storica citazione da Antonio Gramsci da Quaderni del Carcere, 1930, il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.
Jaar introduce una riflessione sulla necessità e urgenza del passaggio al nuovo, che però sembra costantemente bloccato e sospeso tra il “non più” e il “non ancora”. Trasponendo la frase in forma di neon, sottolinea l’urgenza di illuminare con la cultura il buio degli orrori della storia affinché non vengano dimenticati e soprattutto non ripetuti.
Alfredo Jaar (1956, Santiago del Cile) vive e lavora a New York. Artista, architetto, fotografo e regista cresciuto sotto la dittatura di Pinochet, è fuggito dal Cile dopo aver conseguito una laurea in Architettura. Per Jaar l’arte è strettamente legata all’impegno sociale. Attraverso le sue opere, infatti, affronta temi politici ed economici legati a situazioni di emergenza umanitaria, di oppressione politica, di emarginazione sociale e violazione dei diritti umani e civili. Il suo interesse è rivolto a fare luce su situazioni che la nostra coscienza tende a rimuovere e sulla manipolazione delle informazioni da parte dei media.